#BlueMonday, oggi è il giorno più triste dell’anno!

Giornate comunque corte, terminate le festività natalizie, sensi di colpa per aver speso troppo o perché i buoni propositi di inizio anno non decollano come vorremmo… Anche dalle ricerche di studiosi come Cliff Arnall, psicologo inglese, emerge che l’assenteismo sul lavoro in questo giorno dell’anno aumenta! Come sostiene Han “la depressione è la malattia di una società che soffre dell’eccesso di positività” (2012). Allora cosa succede in Italia? Come recuperare allora una autentica energia e un buon equilibrio a livello personale, sociale e professionale in un’epoca di veloci cambiamenti e sempre più ampie necessità vere o indotte?
Ecco una mia riflessione sull’argomento nell’articolo Paura, rancore, rassegnazione e coraggio nell’affrontare la complessità

 

Smentiti i pregiudizi di genere: le donne scienziate sono anche belle!

Non è una novità, ma Gerard Bruneau è il fotografo che mostra i volti della ricerca al femminile attraverso i valori dell’estetica, del gioco e della ironia! La mostra “Una vita da scienziata – I volti del progetto #100esperte”, è un progetto artistico contro gli stereotipi di genere, ideato e curato da Fondazione Bracco, inaugurato ieri al Centro Diagnostico Italiano in via Saint Bon a Milano.

100 donne contro gli stereotipi per la scienza

Tra le scienziate protagoniste della mostra c’è Paola Velardi, professoressa ordinaria presso il Dipartimento di Informatica dell’Università La Sapienza di Roma, docente di Machine Learning, Web and Social Information Extraction, Business Intelligence. Paola è anche una delle figure di spicco del libro YES_WE STEM, (SGI, 2016), che ho curato come coordinatrice editoriale e in cui ho scritto un capitolo su Donne, Leadership e il Tabù della Scienza. Per info sull’ebook e scaricarlo gratuitamente clicca qui https://www.lucianadambrosiomarri.it/autrice-di/i-miei-libri/

Il lavoro occasionale, oggi a tempo di app, diventa gig economy!

Il nuovo ritmo di uno degli andamenti del mondo del lavoro prende a prestito il nome dal jazz.

Infatti, negli anni Venti (e a seguire), gig era la chiamata per una serata, un’esibizione, un ingaggio, nei fumosi locali di New Orleans o Chicago. Diviene così poi sinonimo di lavoretto e oggi, dopo le crisi del 2008 e soprattutto quella del 2011, il lavoro a chiamata in variante gig diventa il fenomeno della gig economy e si diffonde sempre più! (E per non fare brutte figure ricordiamoci che la pronuncia è con la g dura.)

Esperti e osservatori si dividono tra convinti assertori ottimisti del nuovo mondo del lavoro in versione gig a suon di app che aiuta logiche smart e free del lavoro e di vita, e altri meno ottimisti, più perplessi se non addirittura contrari a logiche che mettono a sistema precarietà totale, instabilità, insomma il delirio di una già difficile italiana flessibilità del lavoro.

Nel mio articolo pubblicato sulla rivista LEADERSHIP & MANAGEMENT a novembre 2018, leggi su questo fenomeno vantaggi, rischi e paradossi da più punti di vista.

Qui l’articolo in pdf

Qui l’articolo sulla rivista Leadership&Management

25 Novembre – Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne

Ormai sembra che essere donna sia ancora un rischio anche in Italia. Quindi: mai smettere di guardare in faccia la realtà!

In Italia, le cronache, l’ISTAT, i numeri ufficiali del Ministero dell’Interno mostrano che purtroppo la violenza sulle donne è ancora molto diffusa – vedi pag. 16 del dossier.

E si conferma che le violenze avvengono in particolare nell’area della famiglia e dei rapporti di relazione. Fatto questo sempre inquietante, poiché proprio in quelle sfere la sicurezza dovrebbe essere maggiore! In pratica, nella maggior parte dei casi, mariti, compagni, parenti ed ex partner sono gli omicidi autori delle violenze sulle donne.

Va, comunque, considerato un fatto che può sembrare un paradosso: se la violenza contro le donne è sì diffusa ma come dato complessivo sta diminuendo grazie alla maggiore consapevolezza delle donne che ora più di prima riconoscono questa violenza come reato e sono quindi più portate a denunciarlo, dall’altra il rischio del femminicidio aumenta, perché la maggiore consapevolezza delle donne scatena maggiore rabbia in quegli uomini che vedono la donna come proprietà, come (s)oggetto che non è libero di scegliere e di avere una propria volontà e autonomia.

Non si può poi dimenticare che, con i numeri ISTAT nello scenario ci sono le donne silenziose che subiscono senza denunciare, che restano anonime per paura o perché non hanno fiducia sulla possibilità di essere ascoltate, credute, protette.

Secondo il Rapporto Eige (European Institute for gender Equality) presentato a Roma l’8 ottobre 2018, la violenza contro le donne in Italia costa 26 miliardi di euro. Questa spesa è composta dagli effetti della perdita di produzione economica, dal maggior utilizzo di servizi e dai costi personali. E nei Paesi UE il costo arriva a quasi 226 miliardi di euro.

Nel nostro Paese è stata istituita al Senato (ottobre 2018) una commissione d’inchiesta per indagare le cause del femminicidio (termine usato per la prima volta da Diana Russell) e la legislazione attuale su tale fenomeno.

Su questo le associazioni delle donne, e tutti i soggetti protagonisti della lotta contro la violenza sulle donne e al femminicidio, della prevenzione e della gestione dei casi quando già avvenuto – come i centri antiviolenza e le case famiglia – dovrebbero essere ascoltate, così come le loro proposte, data l’esperienza (purtroppo) in materia. Sappiamo che le leggi in Italia su questo fronte ci sono, ma vanno applicate, vanno diffuse l’informazione e la formazione a partire dalla scuola e dal contesto genitoriale. Ciò è fondamentale per diminuire le violenze di tutti i tipi, anche psicologiche, come la diffusione dello stalking anche tra gli adolescenti, e la violenza sul posto di lavoro come il ricatto sessuale, fenomeno diffuso, sommerso e spesso impunito.

Per lottare contro la violenza contro le donne e contro il femminicidio serve la voce delle donne e ma anche quella degli uomini. Uomini che non odiano le donne, uomini che non si riconoscono nei modelli e nei comportamenti di chi continua a vedere la donna come proprietà, con tutti gli annessi e connessi che ne derivano in termini di idee, slogan, linguaggi, atteggiamenti e… di proposte di legge retrive che vogliono negare il rispetto delle donne e del loro diritto a scegliere sul proprio corpo e sulla propria vita.

Per fermare la violenza contro le donne serve anche educare gli uomini e serve sconfiggere l’indifferenza, quella con la quale purtroppo molti e molte ascoltano o leggono la notizia dell’ennesimo femminicidio… Si comincia, dunque, dall’atteggiamento dei genitori, dalla scuola, dai media e non si finisce mai!

Il 25 novembre usiamo l’arancione!

 

 

 

Giornata Internazionale della Gentilezza

Oggi è la giornata internazionale della Gentilezza. Può esistere una Leadership Gentile?

La leadership può essere anche gentile e rimanere efficace, anzi produrre anche efficienza coniugando autorità ed empatia? Alcuni leader italiani e internazionali protagonisti dell’attuale scena politica teorizzano e praticano la logica del duro e puro, insomma una versione machista di uso del potere e della rappresentazione del proprio agire che trova elettori e adepti consenzienti quando non deliranti: va certo riconosciuto che quest’approccio dà i suoi frutti in certe situazioni sociali per chi ha volontà di consenso facile e d’effetto sul breve periodo, diffonde paura, atteggiandosi a punto di riferimento sicuro e impavido, che non ascolta, non cerca consigli, anzi se li riceve li azzera.
Più in generale, da molti la gentilezza non è vista di buon occhio, è percepita molto vicina all’insicurezza, alla debolezza d’idee e verso l’interlocutore. Come se gentilezza fosse sinonimo di arrendevolezza tout court.
Ma…udite, udite: molte ricerche socio-organizzative, altre inerenti alla neuro scienza e altre ancora provenienti dalle scienze sociali, dimostrano che, nella conduzione d’imprese e di organizzazioni del lavoro, le aziende davvero vincenti sono condotte da leader gentili, che con questo stile nulla tolgono a fermezza e determinazione verso la realizzazione dei propri intenti imprenditoriali e/o gestionali, anzi! 

La gentilezza dei leader aiuta il legame positivo con le persone e la gestione delle relazioni. Non si tratta quindi di carisma, quello di weberiana memoria, quello che in tv o nelle piazze il leader enfatizza attraverso uno stile di comunicazione particolarmente brillante che facilita identificazione e aspettative miracolistiche in chi lo ascolta.

La leadership gentile è il contrario della manipolazione o della recita, è autenticità di rapporto con gli altri, collaboratori, ai vertici o di pari livello, è la capacità d’impegno in rapporti reciproci significativi, è creazione di fiducia vicendevole, è provare ed esprimere gratitudine, è il valore dell’umiltà con cui il leader dimostra che sa imparare e che non si monta la testa, rimanendo con i piedi per terra; quindi è capacità di realismo, senza dichiarazioni di autoglorificazione egocentrica, è responsabilità unita alla competenza (parola rara di questi tempi in Italia, dove spesso suscita diffidenza o sospetto anziché fiducia, affidabilità e riconoscimento). 

In sintesi, è capacità di equilibrio, che anche attraverso la compassione (!) porta a vantaggi tangibili e intangibili per le organizzazioni e per il business. La pensano così in molti sulla base di studi e ricerche, oltre che sulla base di esperienze d’impresa, tra cui autorevoli figure e studiosi alla Columbia University Business School come Glenn Hubbard preside e professore di economia e finanza, William Baker, anche presidente di Educational Broadcasting Corporation, Michael O’Malley anche curatore di testi di economia e legge ed executive editor di Yale University Press. La pensano così anche molte persone semplicemente competenti, dotate di buon senso, convinte, umili, responsabili e gentili! E che, tra l’altro, spesso dirigono aziende, uffici, persone, dipartimenti, progetti di elevata responsabilità.

Non sarà che la gentilezza, in fondo in fondo, può fare paura a chi la snobba o la mortifica? 

Sei  una persona gentile e vuoi valorizzare la tua autorevolezza anche attraverso questa tua caratteristica  enfatizzandone la forza e l’efficacia, invece di sentirti in difficoltà nelle situazioni conflittuali? Prenota un primo colloquio gratuito conoscitivo con me, possiamo trovare insieme la strada per questo potenziamento con un eventuale percorso di counseling alla persona.   

Scrivimi una mail qui: lucianadambrosiomarri@gmail.com

La Forza del Destino, la Forza delle Donne

Pietroburgo, Teatro Imperiale, 10 novembre 1862: Va in scena la prima assoluta de La Forza del destino, melodramma di Giuseppe Verdi. Il destino è protagonista del titolo e della vita di Leonora, eroina dell’opera.

Leonora sceglie il convento per amore ma trova la morte per mano del fratello come vendetta per difendere l’onore della famiglia e quindi di se stesso. Sono passati secoli da quella notte a Siviglia, in cui si svolge la vicenda, ma quante donne ancora muoiono, guardando anche solo l’Italia, per questo motivo?

Il femminicidio viene dai media descritto quasi sempre come un gesto folle, compiuto da un folle omicida, ma i numeri sono impressionanti: nei primi 6 mesi del 2018, sono state uccise già 44 donne, il 30% in più rispetto lo stesso periodo del 2017 (bilancio fornito dall’associazione Sos Stalking).

Questo fenomeno trova le sue ragioni non nella follia del singolo soggetto ma in una cultura arcaica che vede, purtroppo tutt’oggi, proporre la visione della donna secondo logiche di proprietà: oggetto personale, di “visibilità” grazie al puro apparire. Tale visione relega questi omicidi (e altro, a questi associabile) a fenomeni isolati, non ponendo la questione come un problema della società, che riguarda la dignità delle donne e degli uomini – quelli che non si riconoscono nella logica del branco o del sultano -. Fino a che le cose non cambieranno, assisteremo a tanti folli omicidi che avrebbero potuto essere probabilmente evitati se si fosse dato ascolto alle donne, tutte, e non solo a quelle che poi sono state vittime uccise. Perché non è loro destino!

In questa opera Leonora si sente costretta a travestirsi da uomo per maggiore sicurezza in un momento di fuga e a indossare, secondo il libretto dell’opera, un pastrano a larghe maniche, largo cappello e stivali.

Questo sotterfugio è stato spesso adottato dalle donne, in varie occasioni per sfuggire ai pericoli derivanti dal riconoscimento della loro vera identità di genere, sia in guerra sia in situazioni dove l’essere donna rappresenta un ostacolo al divenire dei desideri da perseguire. “Il ragazzo senza barba” era, per esempio, un famoso medico militare dell’Ottocento, il Dott. James Barry, identità dietro la quale una donna si è celata tutta la vita.

Oggi, diventa anche un gioco, come per Lady Gaga che ha assunto panni maschili sulla copertina del suo “You and I” per lanciare questo singolo nel 2011. Per alcune, invece, un gioco non è: in alcune realtà dove, purtroppo, il dettato culturale deciso dall’uomo prevede obblighi e restrizioni per la donna, non sono rare le ragazze intraprendenti che per fuggire dalla gabbia di questo tipo di vita, compresi i matrimoni-vendita cui le obbligano in famiglia, escogitano anche questa strada del travestimento per scappare. E’ ciò che ha fatto, ad esempio, Adju, in un villaggio berbero del Marocco, all’inizio degli anni Duemila. Obbligata dal padre al matrimonio con un vecchio, riuscita a scappare grazie a taglio di capelli e diverso abbigliamento, assume l’identità maschile di Muh. Dopo vicende alterne è stata però scoperta ed è diventata un simbolo di coraggio.

La forza del destino può essere forzata!

Con il mio libro Donne all’Opera con Verdi si può riflettere, anche attraverso alcune opere liriche, sull’attualità di alcune questioni prendendo spunto dalle vite delle eroine verdiane e sull’attualità di aspetti come l’intelligenza emotiva.

Scopri di più sul mio libro qui

Giornata Mondiale del Cuore

Per vivere e lavorare bene ci vuole cuore! Non solo per il battito!!!

Oggi è la giornata mondiale del cuore. Il cuore ha a che fare con l’empatia? Certo, le emozioni che proviamo ci servono! Quindi sentire il proprio cuore, le proprie emozioni aiuta a capirsi meglio e a capire emotivamente meglio gli altri. Questo è uno dei noccioli dell’empatia. Tenendo conto che capire, comprendere non significa condividere o provare le stesse cose. Significa cogliere, ascoltare, riconoscere cosa si prova dentro di sé e cosa prova l’altra persona.

Ma come batte in tal senso il cuore delle donne nella vita privata e sul lavoro? Il possedere empatia, flessibilità e socialità e capacità di apprendimento e di superamento rispetto alle avversità, sono una combinazione di caratteristiche che, secondo molte ricerche internazionali, consentono alle donne di esprimere un approccio unico verso che fare con la delusione, il rifiuto o situazioni che non funzionano. Tendono all’auto-critica, ma poi si scrollano di dosso ogni sentimento negativo, imparano ciò che è necessario e si danno da fare! Certo ci sono eccezioni, ognuna è chi è e sa essere/fare, ma tendenzialmente dalle ricerche socio-psicologiche e manageriali questo è il dato che emerge.

Ciò non significa che gli uomini non abbiano, ad esempio, empatia, ma su questa dimensione le donne manifestano una capacità maggiore. Inoltre, anche per dedicarsi all’innovazione serve uno sguardo aperto, ampio, che guarda al mondo che legge i cambiamenti. Contemporaneamente serve un senso autocritico verso di sé, e la capacità di vedere e ascoltare gli altri come diversi da sé: è così che può svilupparsi l’empatia.

 

Se vuoi approfondire come migliorare la tua capacità di empatia e di relazione con gli altri, puoi utilizzare il counseling alla persona. Per maggiori informazioni clicca qui.

Per le aziende interessate a potenziare l’empatia e le altre soft skill rispetto a figure manageriali o altre figure:

Open space sì, open space no…?

Ottimi spunti dalle interviste nell’interessante articolo di L. Barbieri sul Corriere della sera del 23 luglio.  Pareri di esperti con prospettive differenti affrontano la questione sui vantaggi e rischi dell’ufficio open space, a partire dagli spunti offerti da una ricerca di Harvard.

Secondo gli studiosi della prestigiosa università americana i dati della loro indagine stravolgono oggi il motivo per cui l’open space si è diffuso ormai da tempo negli uffici di migliaia di aziende nel mondo. E tra gli esperti italiani intervistati da Barbieri i pareri in proposito sono discordanti.

Il fatto è che l’ambiente di lavoro può essere strutturato fisicamente in molti modi e in ogni caso incide sul fattore psicologico di chi ci lavora e sulle dinamiche interpersonali tra colleghi e con i capi. Spesso oggi anche in fabbrica sono superati gli ambienti di officina rappresentati dal genio di C. Chaplin in Tempi Moderni (1936, https://www.youtube.com/watch?v=I37VtQbOa7M), perché sono le persone che controllano le macchine o in altri casi l’organizzazione del lavoro è in mano alla robotica. D’altro canto, negli ambienti lavorativi di ufficio, le situazioni variano da imprese innovative dove sono state organizzate ampie zone di differente colore a seconda dell’obiettivo per cui si usano quei determinati spazi ( blu per pensare, verde per rilassarsi, colori tenui per colloqui riservati, bianco e legno per brevi riunioni, salottini per incontri informali o con ospiti esterni), ad altre aziende dove il grigio anonimo domina ovunque e l’intonaco dei muri  cade a pezzi da anni, deprimendo ogni giorno chi lì lavora, nell’ignoranza voluta o nella cecità inconsapevole del peso di questi fattori ambientali da parte di chi dovrebbe invece gestire in modo sano le persone, o risorse umane che dir si voglia.

Sono questi alcuni dei temi di cui si occupa la psicologia del lavoro e di cui in Italia uno dei massimi esponenti è il Prof. Andrea Castiello d’Antonio, intervistato da Barbieri e con cui recentemente ho anche scritto RISORSE UMANE E DISUMANE. COME VIVERE OGGI SUL PIANETA R.U. (2017, Giunti Psychometrics , https://www.giuntios.it/catalogo/volume/risorse-umane-e-disumane).

E tu pensaci un momento: che esperienza hai al riguardo? Come è la tua vita con i colleghi e le colleghe di ufficio in open space o nel chiuso di una piccola stanza?

Se hai difficoltà di relazione professionale con alcuni di loro o con i capi e vuoi una mano, posso esserti utile attraverso un percorso di counseling mirato ad affrontare meglio e risolvere positivamente le questioni di clima di lavoro che ti stressano e ti fanno passare la voglia di andare in ufficio.

Per saperne di più rispetto alla mia esperienza che può esserti di supporto, leggi qui.
Per contattarmi e avere maggiori informazioni per un colloquio gratuito scrivimi: lucianadambrosiomarri@gmail.com

 

 

Paura, rancore, rassegnazione e coraggio nell’affrontare la complessità

Su Leadership&Management è da poco stato pubblicato un mio articolo dal titolo Paura, rancore, rassegnazione e coraggio nell’affrontare la complessità. Prendendo spunto dal 51° Rapporto CENSIS sulla situazione del Paese, nostalgia, risentimento e incertezza producono l’oscillazione tra malessere e ricerca della felicità. Secondo me  in certi contesti non solo lavorativi  si  assiste quasi ad uno “sforzo alla felicità” che può diventare un rischioso tentativo bulimico. Sì: sforzarsi a tutti i costi di essere felici può portare in realtà una forte depressione.
Come sostiene Han “la depressione è la malattia di una società che soffre dell’eccesso di positività” (2012). Come recuperare allora una autentica spinta positiva e propositiva a livello sociale e professionale?

Ecco una mia riflessione sull’argomento nell’articolo che puoi leggere qui